Non sia mai che l'oblio del tempo le cancelli, meglio periodicamente riproporle , e duplicarle, chissa' che sia da lezione anche per i nostri tempi moderni.
A proposito di Marin Falier e della congiura ordita contro la Serenissima .
Scrive Gigio Zanon
Il 7 maggio 1355 il Consiglio dei Dieci decreta che il 16 aprile di ogni anno, giorno di S. Isidoro, una solenne processione avvenga in S. Marco con l'intervento del doge per ringraziare Dio e S. Marco di aver salvato lo stato dalla congiura del doge Marin Falier, decapitato il 17 aprile dello stesso 1355.
Scrive Cesare Peris
La
vita.
Nato verso il 1285, Marin aveva un
fratello, Ordelaf, ed apparteneva ad una delle
famiglie patrizie più illustri di Venezia, i Falier
erano infatti un antico Casato che, probabilmente, era giunto in laguna dalla
città di Fano.
Ricchissimo, con proprietà nel
Padovano e nel Ferrarese ed una splendida Ca’ in Contrada
dei Santi Apostoli,
socio in affari con il fratello Ordelaf aumentò ulteriormente
il potere della sua famiglia, che già aveva visto ben due Dogadi:
il Dose Vitale Falier
Dodoni (1084-1095) ed il Dose Ordelaf
(anagramma di Faledro) Falier
Dodoni, figlio di Vitale, (1102-1118). Quest'ultimo,
nato guerriero, venne trucidato a Zara e fu sepolto a San Marco
dove un cronista lo definì "Re dei
Re e correttore delle leggi".
Ben poco si conosce della giovinezza
di Marin e ciò fino
all’età di trent'anni, quando invece lo si ritrova membro del Consejo dei Diese e
successivamente chiamato a servire la Repubblica come Podestà di Treviso, Lesina, Brazza e Serravalle; Ambasciatore,
poi Savio, Provedador da Mar e quindi Capitan e Bailo nella piazzaforte di Negroponte (odierna Eubea),
Plenipotenziario di Venezia nella Lega con gli Scaligeri e gli Estensi contro
Genova.
Egli ebbe a sostenere da valoroso
condottiero anche alcuni incarichi militari, fra i quali il più importante fu
senz’altro l'assedio e la riconquista di Zara nel 1345, città che si era
ribellata alla Signoria veneziana.
Il Re di Boemia lo aveva nominato
Cavaliere ed era diventato Conte e Signore di Valmareno,
cedutogli dai Da Camin.
Marin Falier sposò Alcuina
(Lodovica) Gradenigo, donna di rinomata bellezza e d’età molto
più giovane di lui.
Il dogado.
Apprezzato dai suoi pari per l'intelligenza
politica e l'esperienza di navigato uomo di Stato, alla morte del suo
predecessore, Andrea Dandolo, l’11 settembre del 1354 con 35 voti su 41,
avendo compiuto settant’anni, fu eletto al primo scrutinio Dose di Venezia. La notizia della
nomina raggiunse Marin Falier mentre si trovava ad Avignone, Ambasciatore della
Repubblica presso papa Innocenzo VI.
Partì immediatamente una
delegazione di dodici nobilomeni
che lo attesero e gli resero omaggio a Verona. Il 5 ottobre arrivò a Fusina dove salì a bordo del Bucintoro ed arrivò a San
Marco; qui però, come racconta il Sanudo, "fo
un malissimo augurio" il fatto che la nave, a causa della nebbia, attraccasse
proprio al centro del molo, sulla piazzetta, sicché il corteo dogale si trovò
a transitare tra le due colonne di Marco e Todaro, luogo
dove generalmente venivano eseguite le condanne a morte.
Il suo breve dogado
fu molto travagliato. Il 4 novembre 1354 la flotta veneziana
nell'Egeo,
al comando di Nicolò Pisani, fu
letteralmente annientata a Portolongo dai Genovesi,
con cui la Repubblica era in guerra. La sconfitta precipitò la città in una
fase di forte ristagno economico, di cui il popolo "borghese",
formato principalmente da artigiani ed i mercanti si lamentavano continuamente
e dei quali il Dose Falier divenne l’interprete ed
il fautore di una guerra ad oltranza contro Genova.
Dal 1350 al 1355 Venezia passò infatti un momento estremamente
delicato. Non solo la guerra con Genova, ma anche quella precedente con i
veronesi e il terribile morbo della peste avevano creato gravi difficoltà
economiche, con il commercio che languiva la scarsa circolazione monetaria,
il forte aumento del numero dei poveri ed i tassi d'interesse lievitati del
40%.
La congiura.
Le motivazioni che potrebbero aver
condotto Marin Falier alla
cospirazione derivarono forse dall’analisi politica di una Penisola dove i
deboli e rissosi governi comunali venivano, uno dopo l’altro,
sostituiti dalle autoritarie Signorie. Comunque sia, la tradizione vuole che la
spinta finale ad agire sia stata propiziata da motivazioni personali.
Durante una festa in palazzo
Ducale, i giovani Michele Steno (futuro Dose), Pietro Bollani, Rizzardo Marioni, Moretto Zorzi, Micaletto da Molin e Maffeo Morosini, vergarono sui muri alcune scritte offensive nei
confronti della Dogaressa e del nipote del Dose. Di questi insulti, due in particolare vengono ricordati dai
cronisti: "Marin Falier, da la
bea mugier, altri la galde
lu la mantien"
e “Beco Marin Falier della bela moier, la
mogie del doxe Falier, se
fa foter par so piaser”.
Quale immediata conseguenza, il 10 novembre 1354, sollecitata dagli Avogadori de Comun, la Quarantia condannò lo Steno a
dieci giorni di carcere, il Bollani e il Marioni ad una settimana. Pene invero miti ma era anche
pur vero che nel passato certe “ragazzate” non avevano mai visto punizioni più
severe. Un uomo di Stato esperto ed acuto come il Falier non poteva non rendersene conto,
tanto che la sua sicurezza nel non essere beco (cornuto) fu confermata
dal fatto che designò la moglie esecutrice del suo testamento.
L’episodio non gli fece certo piacere
ma il movente ebbe evidentemente diversa natura.
Uomo fortemente ambizioso, probabilmente
non soddisfatto di essere arrivato al dogado,
cospirò per diventare “Signor a
bacchetta” ed assicurare così il dominio alla sua famiglia che, dopo di
lui, poteva continuare con il nipote Fantino. Di antichissima e nobile
famiglia, di grandi ricchezze, conte e signore di Valmareno,
cavaliere dell’Impero, amico di principi e signori, con fama di virtù, di sapienza
e di valore guerriero, con vaste relazioni intrattenute con borghesi e popolani,
grande seguito fra la gente di mare e, infine, con l’autorità di Dose, egli si convinse al gran passo.
Riconobbe subito che per poter attuare
con qualche successo un colpo di Stato contro la nobiltà, aveva da rivolgersi
a quei borghesi che, finanziariamente erano assai potenti ma ugualmente destinati
a rimanere esclusi dalla politica. Pochi e selezionati i capi della
cospirazione, oltre a lui stesso, Bertuccio Isarello, proprietario di navi, il suocero di questi, Filippo
Calendario, tagiapiera
e proprietario di barconi, ed infine un certo Vendrame,
ricchissimo pellicciaio.
Il piano.
La data dell'insurrezione fu
stabilita per il 15 aprile 1355. Il disegno, semplice e quanto mai cruento, prevedeva
di irrompere in piazza
San Marco, occupare il palazzo Ducale e qui uccidere tutti i
membri dei vari Consigli, quindi girare per le case ed eliminare il resto dei
nobilomeni
assieme ai loro figli. Compiuta la strage, Marin Falier si sarebbe proclamato "Signore di
Venezia".
Il fallimento.
Vendrame, incautamente o forse pensando
che ormai i giochi sono fatti, si confida con un amico, il nobilomo Nicolò
Lion, al quale infatti anticipa che nella notte ci
sarà a Venezia una “gran novità”: è in atto una sommossa per abbattere il
Governo repubblicano. Il Lion non perde tempo e
corre subito a riferire il nefasto progetto al Dose, Marin Faliero il quale, restando impassibile, minimizza la
faccenda in “ciacole” senza fondamento (chiacchiere),
peraltro già udite anche dai Consiglieri Ducali.
Il Lion
però non riesce a tranquillizzarsi e chiede al Dose la bontà di convocare il Minor
Consejo e dopo alcune titubanze, il Dose acconsente. Intanto però si
sparge la voce e molti nobilomeni
che si trovano a palazzo accorrono per saperne di più. Ora si dubita della
parola del Lion il quale chiede allora che Vendrame venga convocato e questi, trovato e messo alle
strette, confessa i nomi del principali congiurati. Nel frattempo arriva a
palazzo Giacomo Contarini accompagnato dal nipote
Giovanni, che confermano come vere le dichiarazioni del Vendrame,
avute da un loro confidente, tale Marco Negro. Anche questo viene convocato
ed interrogato e, nell’elenco dei congiurati di sua conoscenza, egli fa anche
il nome del Dose.
Grande è lo sgomento fra i nobilomeni. La parola
del Negro non viene giudicata bastante, è in gioco l’onore della Repubblica, ci
vuole la certezza. Viene perciò tratto in arresto Filippo Calendario il quale,
sotto la minaccia della tortura, confessa e conferma l’esistenza della
congiura ed i nomi dei congiurati, compreso quello del Dose.
Sul far della sera, tutta la città
è in allarme. Per la dignità della carica ricoperta, il Dose viene posto agli
arresti domiciliari, mentre tutti gli altri congiurati sui quali si riesce a
por mano vengono incarcerati. Nel frattempo un gran numero di nobilomeni “lealisti”
accompagnati dai rispettivi seguiti armati, si apprestano a passare la notte presidiando
piazza San Marco.
Infine a Marco Corner, Capitan General da Mar, è affidato il comando di un
flottiglia di barche armate affinché la laguna sia tenuta sotto stretto
controllo.
La repressione.
Il giorno dopo, il 16 aprile, il Consejo dei Diese
si riunisce e, data la gravità delle decisioni che si dovranno assumere, gli
viene tosto affiancata una Zonta composta da 20 nobilomeni.
Bertuccio Isarello
e Filippo Calendario sono impiccati il giorno stesso alle colonne rosse della
loggia di palazzo Ducale, altri nove congiurati seguono subito dopo la loro
stessa sorte.
Venerdì 17 aprile, non presente, viene
giudicato il Dose Marin Falier. Egli è riconosciuto
colpevole di alto tradimento e condannato all’unanimità dei voti alla
decapitazione. La sentenza gli viene comunicata mentr’egli attende nei suoi
appartamenti, da Giovanni Gradenigo che gli intima “dami quela bareta”, spogliandolo così delle insegne dogali. La
sentenza viene compiuta al tramonto in Palazzo Ducale, a porte chiuse, e si
vuole sia eseguita nello punto stesso della grande scalinata dove, poco prima
di cingere la corona ducale, Marin Falier aveva prestato
il giuramento di osservare la "promissione
ducale".
Dopo il suono della campana, al
popolo, in attesa riunito in Piazzetta, viene mostrato lo spadone ancora insanguinato
del boia e una voce grida: "Vardé tuti! La xè stada
fata giustixia de'l traditor!".
Il suo corpo rimarrà esposto per
un giorno nella sala della magistratura del Piovego, deposto su una stuoia e
con la testa mozza ai piedi. La sera del 18 aprile, il cadavere sarà caricato
a bordo di una gondola e silenziosamente accompagnato alla sepoltura, un
cassone di pietra collocato all’interno della Cappella della Madona
de la Paxe, dunque non all’interno della chiesa di San Zanipolo. Caduta la Repubblica, nei primi
anni dell’Ottocento il cassone, svuotato dei resti e rimosso, fu utilizzato
per qualche tempo come serbatoio dell'acqua per l'ospedale civile, trovando
alfine la sua collocazione, completamente privo di stemmi ed iscrizioni,
nella loggia esterna dell'antica sede del museo Correr, ossia il Fontego dei Turchi.
Il Petrarca in una lettera espresse
la tragica emozione che questo evento produsse in tutta Italia e vi vide con
chiarezza una inconfutabile lezione per i futuri Dosi, da cui essi impareranno che sono «le guide e non i padroni dello Stato. Che dico le guide? Unicamente
gli onorati servitori della Repubblica».
La memoria.
Per un fatto curioso, nonostante
la Repubblica abbia cercato in tutti i modi di cancellarne la memoria, ugualmente
Marin Falier è diventato
senz'altro uno dei Dosi più conosciuti al mondo (Byron ne ricavò la tragedia “Marino
Faliero”).
·
Come
già si festeggiava con processione e ringraziamenti solenni il giorno di San Vio (San Vito, 15 giugno),
in cui era stata annientata la congiura Querini-Tiepolo;
così il Consejo dei Diese proclamò
festivo il giorno di sant'Isidoro (16 aprile),
in cui Marin Falier era stato
condannato a morte. Il Dose
assisteva personalmente ogni anno alla cerimonia pubblica che in piazza San
Marco ricordava il tragico evento. In proposito eloquentemente scrive Renier Michiel: “Cerimonia molto utile per ricordare ai
Dosi di non doversi riguardare mai come signori di Venezia, ma soltanto come
capi della Repubblica, anzi come i primi servi onorificati
di essa, e sottomessi alle medesime leggi di ogni altro cittadino”.
·
Nella
sala del Mazor Consejo, dove si allineano tutti i
ritratti dei 120 Dosi, nel 1366 un
decreto del Consejo dei Diese ordinò
la cancellazione dell'immagine di Marin Falier e la
sostituzione con un drappo azzurro e la seguente iscrizione a lettere bianche:
«Hic fuit locus ser Marini Faletri, decapitati
pro crimine proditionis», ossia: «Questo era il posto di Marin
Falier, decapitato per tradimento». Dopo l’incendio
che nel 1577 devastò palazzo Ducale, tra i ritratti dei dogi nuovamente dipinti,
al posto di Marin Falier fu collocato
un drappo nero ed una scritta leggermente diversa: «Hic est locus
Marini Faletri, decapitati pro criminibus».
Del Dose non sono conosciuti ritratti
attendibili.
·
La
motivazione della sentenza alla pena capitale emessa dal Consejo dei Diese, non fu trascritta, come era
d’uso, nei pubblici registri. Al suo posto, nel libro IV della raccolta “Misti”,
si legge un "NON SCRIBATUR".
·
Ancora
per decisione del Consejo dei Diese,
la campana usata per avvisare il popolo riunito in piazzetta che la sentenza
contro Marin Falier era stata
eseguita, si volle non fosse mai più suonata e venne perciò riposta, senza batacchio,
dentro la chiesa di San Marco.
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